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La sospensione del processo con messa alla prova nei confronti dei minorenni è regolato come è noto dagli artt. 28 e 29 del d.P.R. 448/1988. L’istituto ha dato buona prova di sé in questi anni di applicazione, trattandosi di una vera alternativa al carcere dai contenuti fortemente rieducativi e adeguati alla personalità del minore autore di reato.

L’indiscussa utilità e la complessiva tenuta dell’istituto in ambito minorile hanno fatto da tempo ipotizzare una sua possibile estensione anche ad imputati maggiorenni.

Gli elementi essenziali dell’istituto sospensivo per i maggiorenni è disciplinato per i maggiorenni agli artt. 168bis, 168ter, 168quater c.p., nel nuovo titolo V-bis del codice di procedura penale (dall’artt. 464bis all’art. 464novies c.p.p.), nonché all’art. 657bis c.p. che disciplina i criteri di ragguaglio fra le diverse sanzioni in caso di revoca della misura della messa alla prova, e, infine, agli art. 141bis  e 141ter disp. att. c.p.p.

Anche la messa alla prova per i maggiorenni è applicabile a prescindere da una pronuncia sulla responsabilità dell’imputato e in una fase anticipata del procedimento (fino a che non siano formulate le conclusioni a norma degli artt. 421 e 422 c.p.p. o fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado nel giudizio direttissimo e nel procedimento di citazione diretta a giudizio, oppure ancora entro il termine e con le forme stabilite dall’art. 458, comma 1, c.p.p. se è stato notificato il decreto di giudizio immediato, o con l’atto di opposizione, nel procedimento per decreto, come prevede l’art. 464bis c.p.p).

Il giudice dispone la misura con ordinanza, su richiesta dell’imputato, qualora vi sia il consenso del pubblico ministero (art. 463ter c.p.p.), sentita la persona offesa, se non deve pronunciare sentenza di proscioglimento a norma dell’art. 129 c.p.p.

Già in ambito minorile, si è tentato di ridimensionare la portata di questa disciplina, sostenendo che, se si deve ammettere che una pronuncia formale sulla responsabilità non sia richiesta, debba considerarsi comunque l’accertamento della responsabilità dell’imputato quale presupposto della misura. In questa direzione, si è chiaramente orientata anche la Corte costituzionale, allorché ha affermato, in merito alla disciplina applicabile ai minorenni, che “costituisce un presupposto concettuale essenziale del provvedimento di sospensione del processo e messa alla prova [..]. il giudizio di responsabilità penale che si sia formato nel giudice, in quanto altrimenti si imporrebbe il proscioglimento” (C. cost., sent. n. 125, 14 aprile 1995, in Foro it., 1995, p. 2403). Le stesse considerazioni posso essere facilmente estese anche alla nuova disciplina prevista per i maggiorenni; si rileva, fra l’altro, che l’art. 168bis c.p. (come l’art. 28 d.P.R. 448/1988) prevede che la messa alla prova comporti la prestazione di condotte volte all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, con ciò implicitamente evocando la necessità di un previo accertamento della sua sussistenza.

Se per i minorenni non esiste una preclusione determinata dalla gravità del fatto, nei confronti dei maggiorenni, invece, la messa alla prova è applicabile per reati di minima gravità, puniti con la sola pena pecuniaria o con una pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola o congiunta a pena pecuniaria, nonché per i delitti indicati dal comma 2 dell’art. 550 c.p.p.

 l giudice dispone la misura quando, in base ai parametri di cui all’art. 133 del codice penale, reputa:

  • idoneo il programma di trattamento presentato;
  • ritenga che l’imputato si asterrà dal commettere ulteriori reati.

La messa alla prova non può essere concessa più di una volta e nei casi di abitualità, professionalità nel reato o di tendenza a delinquere (artt. 102, 103, 104, 105 e 108 c.p.).

Anche se la prognosi favorevole dell’imputato circa l’astensione dalla commissione di ulteriori reati andrà valutata tenendo in considerazione che con la messa alla prova questi è affidato ai servizi sociali per attività di supporto e cura e che sono attivati sistemi di controllo periodico da parte degli uffici locali di esecuzione penale esterna (art. 141ter c.p.p.).

Ai sensi dell’art. 168bis c.p., la massa alla prova comporta la prestazione di condotte volte all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, nonché, ove possibile, il risarcimento del danno dallo stesso cagionato. Comporta inoltre l’affidamento dell’imputato al servizio sociale, per lo svolgimento di un programma che può implicare, fra l’altro, attività di volontariato di rilievo sociale, ovvero l’osservanza di prescrizioni relative ai rapporti con il servizio sociale o con una struttura sanitaria, alla dimora, alla libertà di movimento, al divieto di frequentare determinati locali.

Inoltre, la concessione della misura è subordinata alla prestazione di un lavoro di pubblica utilità. Il lavoro di pubblica utilità consiste nello svolgimento di una attività non retribuita a favore della collettività, affidata tenendo conto anche delle specifiche professionalità ed attitudini lavorative dell’imputato; la sua durata giornaliera non può superare le otto ore, quella complessiva non può essere inferiore a dieci giorni lavorativi. Tale prestazione deve essere svolta con modalità che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute dell’imputato.

L’imputato che presenti l’istanza di sospensione e messa alla prova – oralmente o per iscritto, personalmente o per mezzo di procuratore speciale con sottoscrizione autenticata (ex art. 583, comma 3, c.p.p.) – deve allegare un programma di trattamento elaborato d’intesa con l’ufficio di esecuzione esterna; oppure, ove non sia stato possibile presentare detto programma, l’imputato può allegare la richiesta di elaborazione del predetto programma. Tale programma deve essere sufficientemente dettagliato, deve prevedere cioè:

  • le modalità di coinvolgimento dell’imputato, nonché del suo nucleo familiare e del suo ambiente di vita nel processo di reinserimento sociale, ove ciò risulti necessario e possibile;
  • le prescrizioni comportamentali e gli altri impegni specifici che l’imputato assume anche al fine di elidere o di attenuare le conseguenze del reato, considerando a tal fine il risarcimento del danno, le condotte riparatorie e le restituzioni, nonché le prescrizioni attinenti al lavoro di pubblica utilità ovvero all’attività di volontariato di rilievo sociale;
  • le condotte volte a promuovere, ove possibile, la mediazione con la persona offesa (v. art. 464bis p.p.).

Agli uffici locali di esecuzione penale esterna sono affidati compiti essenziali di impulso all’attività del giudice e controllo nello svolgimento della prova. Spetta a questi uffici, infatti, il compito di predisporre il programma di trattamento, di svolgere le indagini socio-familiari e sulle possibilità economiche dell’imputato, nonché di informare periodicamente il giudice (almeno ogni tre mesi) sull’attività svolta, sul comportamento dell’imputato, proponendo, ove necessario, modifiche al programma di trattamento, abbreviazioni di esso, ovvero, in caso di grave o reiterata trasgressione, la revoca del provvedimento di sospensione (art. 141ter disp. att. c.p.p.). Tali compiti possono essere in parte svolti da polizia giudiziaria e altri enti pubblici (art. 464bis c.p.p.).

Il giudice, sulla base delle informazioni raccolte, deve valutare l’esistenza dei presupposti necessari per decidere in merito alla stessa concedibilità della misura: responsabilità dell’imputato per il reato commesso, prognosi favorevole circa il fatto che l’imputato si asterrà dal commettere ulteriori reati, effettiva volontarietà della richiesta ed idoneità del programma e delle prescrizioni stabilite in chiave risocializzativa e riparatoria.

Rispetto ai contenuti risocializzanti, la valutazione del giudice deve essere particolarmente attenta. Il comma 5 dell’art. 464bis c.p.p. prevede infatti che ai fini della concessione, nonché ai fini della determinazione degli obblighi e delle prescrizioni cui eventualmente subordinarla, il giudice possa acquisire, tramite la polizia giudiziaria, i servizi sociali o altri enti pubblici, tutte le ulteriori informazioni ritenute necessarie in relazione alle condizioni di vita personale, familiare, sociale ed economica dell’imputato. Tali informazioni devono essere portate tempestivamente a conoscenza del pubblico ministero e del difensore dell’imputato.

L’art. 168bis c.p., inoltre, prevede che la prestazione prevista come lavoro di pubblica utilità, debba essere svolta con modalità che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute dell’imputato. Tutto ciò implica un’indagine approfondita sulla complessiva condizione dell’imputato, sul suo stile di vita, sulle sue esigenze.

Ma anche in chiave riparatoria si impone al giudice una particolare attenzione: deve valutare l’adeguatezza delle condotte riparatorie e risarcitorie e quelle dirette alla mediazione; deve sentire la persona offesa prima di decidere in merito alla concedibilità della misura; può, solo con il consenso della persona offesa, autorizzare il pagamento rateale delle somme eventualmente dovute a titolo di risarcimento del danno e deve valutare anche che il domicilio indicato nel programma dell’imputato sia tale da assicurare le esigenze di tutela della persona offesa dal reato (art. 464quater, III comma, c.p.p.).

Quando poi la sospensione sia stata concessa, il procedimento è sospeso per la durata di uno o due anni (a seconda della gravità del reato per cui si procede, come indicato dall’art. 464quater, V comma, c.p.p.), durante i quali il giudice deve sovraintendere allo svolgimento della prova: qualora ve ne fosse la necessità, d’intesa con l’ufficio di esecuzione penale esterna, i servizi sociali, l’imputato, il pubblico ministero e la persona offesa, può modificare i contenuti del programma (art. 464quinquies c.p.p.), nonché acquisire prove non rinviabili e che possono condurre al proscioglimento (art. 464sexies c.p.p.).  In caso di esito negativo (per grave o reiterata trasgressione al programma di trattamento o alle prescrizioni imposte, ovvero in seguito al rifiuto alla prestazione del pubblica utilità, in caso di commissione, durante il periodo di prova, di un nuovo delitto non colposo ovvero di un reato della stessa indole rispetto a quello per cui si procede), il giudice provvede alla revoca della messa alla prova (con ordinanza) e riprendere il procedimento dal momento in cui era rimasto sospeso (art. 464 octies c.p.). Da tale momento ricomincia a decorrere il termine di prescrizione sospeso durante la prova (art. 168ter c.p.p.). Terminato il periodo di prova, il giudice dichiara con sentenza estinto il reato, se, tenuto conto del comportamento dell’imputato e del rispetto delle prescrizioni stabilite, ritenga che la prova abbia avuto esito positivo, sulla base di quanto emerge anche dalla relazione conclusiva dell’ufficio di esecuzione penale esterna che ha preso in carico l’imputato.