L’imprenditore e la bancarotta della Sais: indagato anche per l’acquisto dei terreni
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Non solo mazzette per sbrigare appalti e lavori. Luca Parnasi, il costruttore impegnato a realizzare il progetto dello stadio della Roma dal 15 giugno in carcere per corruzione, è indagato a piazzale Clodio anche per concorso in bancarotta fraudolenta. E sempre per il fronte Tor di Valle. Il secondo filone d’inchiesta è stato avviato dal pm Mario Dovinola e dal procuratore aggiunto Rodolfo Maria Sabelli e riguarda una fase precedente al vorticoso giro di favori e tangenti, in particolare il periodo in cui l’aspirante patron dello stadio giallorosso, tramite la Eurnova srl, ha acquistato sottocosto i terreni a Tor di Valle e, secondo la tesi della procura, concorrendo nella bancarotta in qualità di extraneus al fallimento della società proprietaria del fondo, la Sais spa di Gaetano Papalia. Il fascicolo aperto in seguito alla denuncia presentata a marzo dal “Tavolo della libera urbanistica”, una associazione formata da un gruppo di architetti e ingegneri, che promuove il rispetto del territorio e nel caso specifico insinua anomalie nel fallimento della Sais, conta, per ora, due indagati: Luca Parnasi per la società acquirente e l’allora rappresentante legale della Sais, un uomo di fiducia di Papalia, per i venditori.
APPROFONDIMENTI
CONTRATTI SOSPETTI
Sotto la lente della procura è finito innanzitutto il secondo contratto di compravendita dei terreni, definito “Atto modificativo dei patti traslativi” firmato il 25 giugno 2013. Un documento che ha stravolto il primo accordo d’acquisto. Infatti se la vendita dei terreni nel contratto originario, firmato nel 2012, era legata alla stipula della Convenzione Urbanistica col Campidoglio entro dicembre 2013, pena la decadenza, nel secondo il vincolo viene cancellato e il passaggio di proprietà diventa immediatamente esecutivo. E con accordi economici diversi, anche se all’apparenza sempre per 42 milioni di euro. Nel secondo la Eurnova di Parnasi formalizza subito il passaggio di proprietà con una caparra di 600.000 euro e si impegna a pagare 21 milioni, mentre l’altra metà, viene vincolata all’eventuale stipula della Convenzione con Roma Capitale, ma senza l’apposizione di un termine.
IL FALLIMENTO
La Sais così sarebbe stata spodestata dei beni, ossia dei terreni, a undici mesi dalla dichiarazione del fallimento (dichiarato nel maggio 2014), mentre le norme in materia, a garanzia dei creditori, vietano qualsiasi cessione nell’arco dell’anno precedente per le società in precarie condizioni economiche. La società dei Papalia il giorno dopo l’atto di compravendita mutato – ossia il 26 giugno del 2013 – aveva, invece, presentato proposta di concordato poi respinto dal tribunale fallimentare, e undici mesi dopo è stata dichiarata fallita. La revisione del contratto avrebbe fatto sospettare ai denuncianti, assistiti dall’avvocato Edoardo Mobrici, che le parti abbiano voluto cambiare gli accordi, con l’immediato trasferimento della società, a svantaggio del venditore. Intanto con due integrazioni di denuncia sono stati depositati a piazzale Clodio nuovi documenti, tra cui il decreto con cui il tribunale fallimentare di Roma ha dichiarato inammissibile la proposta di concordato e la scrittura privata siglata poi dal Fallimento Sais e dalla Eurnova. Nel decreto i giudici avevano evidenziato come la sopravvivenza della Sais dipendesse unicamente da un fattore, ossia l’adempimento dei pagamenti da parte di Parnasi, che in realtà, nel secondo contratto, non erano coperti da garanzie quali le fidejussioni. La posizione del Tribunale Fallimentare, già allora, era chiara, laddove affermava che le intenzioni di “rilancio industriale” erano contraddette dal fatto che la società Sais era ormai priva di beni e non operativa «sicché si può fondatamente ritenere che tali intenzioni non siano altro che un artificioso espediente per continuare a corrispondere ingiustificati compensi a spese dei creditori».