Processo Lande, il “Madoff dei Parioli”. I mancati chiarimenti e tutti i dubbi su Banca d’Italia e Consob per omessa vigilanza. Poteri forti e pensiero debole: le argomentazioni dell’avvocato Mobrici
SOMMARIO: 1.Premessa 1.1 Le società del gruppo Lande 2. Responsabilità civile per omessa vigilanza della Banca d’Italia? L’ispezione della Banca d’Italia nel 2004 presso la CARISPAQ. 2.1 L’Ufficio Italiano Cambi e la Banca d’Italia, personalità giuridiche autonome. 2.2 La responsabilità della Banca d’Italia per violazione dell’art. 166 comma 3° del Testo Unico della Finanza. 3.Responsabilità civile della CONSOB per omessa vigilanza ispettiva con riferimento alla succursale EGP avente sede in Roma in via di Villa Grazioli e per omessa vigilanza informativa nei confronti della Guardia di Finanza e dell’Autorità Giudiziaria? 3.1 I poteri ingiuntivi in capo alla CONSOB, art. 52 Tuf.. 3.2 Vigilanza ispettiva ex art. 10 TUF. 3.3 Vigilanza informativa.
1. Premessa.
In data 28.6.2012 è stata pronunciata sentenza di primo grado nel procedimento penale che ha visto imputato Gianfranco Lande, noto mediaticamente come il “Madoff dei Parioli”, chiamato a rispondere per la violazione dei reati di cui al capo A): associazione a delinquere finalizzata alla commissione di reati di abusiva attività finanziaria di cui agli artt. 416 c.p. e art. 4 L. 16 Marzo 2006 n.146, per i delitti fini, degli artt.110 c.p. 166 d.l. vo 24.2.1998 n.58 e per il reato di ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza di cui agli artt. 81 comma 2°, 110 c.p. , 2638 I e ultimo comma c.c..
La sentenza pronunciata dal Collegio della IX Sezione del Tribunale di Roma è stata oggetto di impugnazione ad opera dello scrivente avvocato Edoardo Mobrici, difensore e procuratore speciale di alcune parti civili costituitesi. L’impugnazione ha avuto ad oggetto la parte della sentenza di primo grado in cui sono state “rigetta tutte le richieste delle parti civili avanzate nei confronti dei responsabili civili CONSOB e Banca d’Italia compensando le spese di giudizio” pur venendo dichiarato Lande Gianfranco colpevole dei reati ascritti (con esclusione, per il reato di cui al capo n.1, della condotta limitatamente al periodo antecedente alla data del 1 luglio 1998) e, ritenendo per tutti i reati sussistente l’aggravante di cui all’art.4 legge 146/2006, nonché la continuazione. Il Tribunale ha condannato Gianfrando Lande alla pena di anni nove di reclusione ed Euro 20.000,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali e custodiali.
I motivi di appello depositati dall’avv. Mobrici hanno avuto ad oggetto la richiesta del riconoscimento:
i. della responsabilità civile della Banca d’Italia per omissione nel rapporto ispettivo della stessa Banca d’Italia, presso la Cassa di Risparmio della CARISPAQ, nel periodo compreso fra l’8 marzo 2004 ed il 25 giugno 2004, in cui non si fece alcun riferimento alle anomalie evidenziate con il precedente rapporto ispettivo dell’U.I.C. (Ufficio Italiano Cambi), espletato nel periodo compreso dal 2 febbraio 2004 al 3 marzo 2004;
ii. della responsabilità civile della CONSOB e della Banca d’Italia per omessa vigilanza informativa tra le stesse Autorità italiane CONSOB e Banca d’Italia, tra la CONSOB, la Banca d’Italia e l’Autorità Giudiziaria ed infine tra la CONSOB e la Guardia di Finanza; non solo, con specifico riferimento alla CONSOB anche per l’omessa vigilanza ispettiva con conseguente mancata adozione di provvedimenti ingiuntivi nei riguardi della succursale E.G.P. (società del gruppo Lande) avente sede in via di villa Grazioli in Roma.
Le tesi giuridiche sostenute dall’avv. Mobrici in favore delle parti civili dallo stesso rappresentate hanno costituito oggetto dei motivi di appello, qui di seguito riportati.
In data 17 dicembre 2013 è stata depositato e letto il dispositivo della sentenza della 1^ Sezione Penale della Corte di Appello di Roma, che ha confermato con riferimento alla Banca d’Italia e la CONSOB quanto stabilito in primo grado. Le motivazioni verranno depositate entro 90 giorni.
1.1 Le società del gruppo Lande
La EGP, Européenne de Gestiòn Pirvée sa, società d’investimento di diritto francese con sede a Bordeaux, Francia, iscritta all’Albo della Autoritè Des Marches Financiers (AMF), nonché iscritta all’Albo delle imprese di investimento comunitarie con succursale in Italia, tenuto dalla CONSOB, era autorizzata allo svolgimento dei servizi di investimento di consulenza in materia di investimenti e di gestione di portafogli e di consulenza alle imprese nonché al servizio di ricezione e trasmissione di ordini.
Lo EGP faceva parte di un aggregato finanziario denominato Gruppo DHARMA avente sede in Lussemburgo, di cui la capogruppo era la società “DHARMA Holdings”. Il Consiglio di Amministrazione della EGP risultava composto dal Presidente Gianfranco LANDE e dagli amministratori Raffaella RASPI e Andrea RASPI. Quest’ultimo ha rivestito anche la carica di responsabile della succursale italiana di E.G.P. fino al 16 novembre 2010.
Lo schema operativo di tali società era notevolmente complesso ed inusuale per il mercato italiano; difatti, l’attività svolta da EGP s.a. e dalla controllata “EGP Fonds et Gestion” si incentrava direttamente nello svolgimento dei servizi di investimento (gestione, ricezione ordini, consulenza) verso i mercati. Non potendo l’impresa di investimento, detenere direttamente, nemmeno in via temporanea, disponibilità liquide e/o strumenti finanziari per conto della clientela, venivano stipulati accordi con i clienti, che prevedevano che le società di gestione agissero sui depositi quali soggetti procuratori.
La succursale italiana di EGP era sita in Roma in via di Villa Grazioli 13, lì si concentrava la quasi totalità dei clienti (circa 850 nominativi persone fisiche). L’attività della succursale italiana, si era espressa a bassi volumi sino al novembre del 2009, poi si è decuplicata, per effetto dello scudo fiscale, operazione che faceva confluire presso la succursale italiana di EGP un consistente numero di clienti, in gran parte provenienti da altre società del gruppo denominate “E.I.M.” (con sede a Roma in via di Bocca di Leone 32), non autorizzate alla prestazione di servizi di investimento, ed amministrate da Gianfranco Lande. Il “Gruppo DHARMA” era collegato mediante una serie di partecipazioni incrociate con il “mondo” E.I.M. (European Investments Managment) che ha operato in Roma presso la sede in via di Bocca di Leone fino al 2009, come intermediario finanziario, in totale assenza delle prescritte autorizzazioni, con gran parte della clientela poi “trasferita” ad EGP, in coincidenza dello scudo fiscale. Particolarmente significativo che nella quasi totalità degli enti che facevano parte del “mondo di Lande” gli incarichi operativi/amministrativi fossero affidati e svolti sempre dalle stesse persone (Lande Gianfranco, Raspi Raffaella, Raspi Andrea, Torregiani Roberto e Castellacci Giasmpiero). La EIM e successivamente EGP agirono come un “braccio operativo/cassiere” della DHARMA e di Lande, atteso che attraverso EIM, prima e EGP, dopo, sono state collocate in modo pressoché integrale, le obbligazioni emesse da DHARMA oltre agli altri prodotti finanziari “creati” dal gruppo, prescindendo da ogni più elementare norma in materia di tutela degli investitori e sul conflitto di interesse.
In sostanza, DHARMA attraverso EGP, distribuiva i propri prodotti finanziari agli investitori di EIM, mentre il “mondo” EIM aveva la gestione degli investimenti mediante fondi esteri “chiusi” situati in paradisi fiscali.
Le società del “gruppo Lande” sono state utilizzate per ingannare la clientela, esempio, la costituzione in data 12 febbraio 2008 di una società veicolo, di diritto lussemburghese, LONGBOW FINANCE S.A. allo scopo di procedere ad un’operazione di cartolarizzazione. Gli amministratori di quella società veicolo erano Gianfranco Lande e Raffaella Raspi. Precisamente, DHARMA ed EGP hanno commercializzato e distribuito le obbligazioni emesse da LONGBOW FINANCE s.a., società costituita ad hoc, nell’ambito delle operazioni di cartolarizzazione, mentre AGHARTI s.a., altra società del gruppo, ha prestato le necessarie garanzie.
Secondo quanto accertato, le pseudo obbligazioni LONGBOW FINANCE erano “formalmente” scadute in luglio 2010, ma il codice ISIN CH013849722 è risultato inesistente. Quindi non sono state emesse obbligazioni né altro tipo di strumento finanziario sebbene sia stato raccolto denaro presso i risparmiatori per l’acquisto di quei titoli.
L’insolvenza di DHARMA Holdings è dipesa principalmente dall’artificiosa operazione finanziaria di emissione di titoli con un valore solo virtuale. In sostanza EGP (società controllata indirettamente da DHARMA), mediante la succursale italiana ha svolto attività di intermediazione in Italia a favore di clientela italiana collocando prevalentemente obbligazioni DHARMA. L’uso strumentale della succursale italiana ha costituito un elemento di forte radicalizzazione sul territorio nazionale e sia l’emittente (DHARMA) sia l’intermediario (EGP) hanno quindi scelto l’Italia come mercato di riferimento.
Il complesso apparato ha portato ad individuare in Lande e sodali, gli effettivi domini e centri decisionali, in quanto muniti, direttamente od indirettamente, di ampi poteri gestionali e decisionali in tutte le società del gruppo. Circostanza questa già evidenziata dall’AMF (la corrispondente della CONSOB francese) nel corso dell’ispezione alla EGP (con sede a Bordeaux)
La casa madre francese della EGP era stata sottoposta sin dal 2006 ad accertamenti ispettivi da parte dell’ACP, con particolare riferimento ai controlli interni antiriciclaggio. Più precisamente, l’EGP era stata oggetto di una procedura di ispezione dal 18 maggio al 30 settembre 2006, con un rapporto trasmesso dall’Autorità di controllo francese alla società in data 14 gennaio 2007, a fronte del quale la EGP aveva fatto pervenire le sue osservazioni.
Dall’ispezione era risultato che Gianfranco Lande esercitava la direzione effettiva della società EGP senza essere dotato di alcun potere di direzione. La società, secondo quanto contenuto nel provvedimento sanzionatorio, mostrava un’insufficienza nel sistema dei controlli interni sullo svolgimento dell’attività e gravi carenze organizzative e di controllo di gestione, nonché una inadeguata descrizione del rischio attribuito ai clienti. Per tali motivi, in data 23 ottobre 2008 l’AMF comminava ad EGP s.a. una sanzione amministrativa, per l’ammontare di euro 100.000,00 somma decisamente rilevante. Successivamente veniva ispezionata anche la società controllata EGP Fonds et Gestionn nei confronti della quale veniva rilevata una struttura organizzativa inadeguata e gravi carenze nelle procedure antiriciclaggio.
Il provvedimento sanzionatorio evidenziava la forte esposizione dei clienti verso i fondi off???????????–shore. In data 15 Gennaio 2009 EGP Fonds et gestion veniva sanzionata dall’AMF con una multa di euro 50.000,00. Non è risultato che l’AMF abbia effettuato verifiche e riscontri sulle reali consistenze dei depositi né è risultato che successivamente sia stata accertata la effettiva rimozione delle carenze rilevate.
E’ risultato, invece, che la CONSOB che già a far data dal 17 Settembre 2009 abbia visionato la documentazione con la quale l’AMF sanzionava l’EGP e dai quali espressamente si leggeva nei documenti CONSOB, la consapevolezza che l’attività si svolgeva prevalentemente se non in via esclusiva in Italia.
Le indagini espletate dalla Guardia di Finanza hanno condotto alla definizione di un soggetto economico unitario facente capo all’imputato LANDE, ovvero del soggetto costituito da tre società accomunate dall’acronimo EIM facenti capo a Lande in cui si è registrata una movimentazione bancaria complessiva dei conti correnti tra il 1996 ed il 2010 presso la filiale I di Roma, Corso Vittorio Emanuele, CARISPAQ, ammontava a circa 173 milioni di euro. Si è riscontrato che a circa 15 milioni di euro equivalevano agli investimenti mobiliari posti in essere dal sodalizio criminoso, a fronte di una mole molto maggiore di importi complessivamente raccolti.
Le somme raccolte nel conto corrente CARISPAQ venivano utilizzate secondo accordi assunti tra i compartecipi di Lande e quindi venivano utilizzati promiscuamente per l’attività del gruppo E.I.M., per le ridistribuzioni ai clienti sotto forma di rendimenti, disinvestimenti e ancora per gli investimenti all’estero di cui si curavo lo stesso Lande.
2. Responsabilità civile per omessa vigilanza della Banca d’Italia? L’ispezione della Banca d’Italia nel 2004 presso la CARISPAQ.
In data 11.2.2013 l’avvocato Edoardo Mobrici, difensore e procuratore di alcune parti civili costituite, ha depositato motivi di appello volti a chiedere la riforma della sentenza di primo grado limitatamente al mancato riconoscimento della responsabilità civile della Banca d’Italia per omessa vigilanza in occasione del rapporto ispettivo di Banca d’Italia, presso la Cassa di Risparmio CARISPAQ, nel periodo compreso fra l’8 marzo 2004 ed il 25 giugno 2004.
Nel marzo del 2004, l’UIC, l’Ufficio Italiano Cambi, aveva esaminato le operazioni sospette segnalate dalla sede centrale della CARISPAQ ai sensi della legge 197/1991 indicando nel 2004 il fumus del reato di abusivismo finanziario.
Il protocollo dell’UIC n.04507223 fa seguito al rapporto ispettivo espletato dal 2 Febbraio 2004 al 3 marzo 2004 presso la stessa Cassa di Risparmio della CARISPAQ e si esprime nei termini che seguono: “Considerata la natura dell’operatività, la fattispecie segnalata sembra presentare gli estremi per poter configurare un’ipotesi di abusivismo finanziario. Ciò premesso, la segnalazione non pare suscettibile di ulteriore approfondimento finanziario da parte dell’Ufficio Italiano dei cambi”.
A tale protocollo farà seguito un’ispezione generale della Banca d’Italia, nel periodo compreso fra l’8 marzo 2004 ed il 25 giugno 2004, ove nonostante, la presa in visione del protocollo UIC, non si fa alcun cenno alle anomalie evidenziate con il rapporto ispettivo dell’U.I.C., espletato e conclusosi pochi giorni prima, esprimendo, invece, un giudizio complessivo parzialmente favorevole.
Solo sei anni più tardi, in occasione una seconda ricognizione presso la CARISPAQ di Corso Vittorio Emanuele sui conti accesi a nome delle società riconducibili al gruppo Lande ha fatto emergere, si legge testualmente a pagina 2 del suddetto documento: “risultanze parzialmente sfavorevoli, da iscrivere nel quadro valutativo del processi di controllo prudenziale. L’incremento dei rischi derivanti dall’intermediazione dei rilevanti flussi finanziari connessi con la gestione dell’emergenza e con le attività di ricostruzione non era stato accompagnato dal necessario rafforzamento del pertinente assetto organizzativo, già lacunoso anche a causa di deficienze di supporto fornito dalla Capogruppo BPER”.
Nella relazione della Banca d’Italia del 2004, invece, come evidenziato dal Sostituto Procuratore della Repubblica, Dott. Luca Tescaroli, nelle proprie “Note di replica sulle tesi difensive” non si fa alcun cenno alle anomalie evidenziate con il rapporto ispettivo dell’U.I.C., espletato poco prima, dal 2 Febbraio 2004 al 3 marzo 2004.
Banca d’Italia conclude, pertanto, la propria relazione del 2004 con un giudizio complessivo parzialmente favorevole, laddove, invece, dalla lettura della relazione di Banca d’Italia, invece, si arguisce evidentemente che quest’ultima ha avuto la conoscenza dell’attività e del relativo esito dell’attività svolta dall’U.I.C.; a pagina 30 del rapporto ispettivo, si legge, infatti: “Legge 197/91 Antiriciclaggio. L’Ufficio Italiano cambi ha concluso il sopralluogo di pertinenza a ridosso dell’inizio della visita ispettiva di vigilanza. Il relativo verbale, dal quale si evincono limitate carenze negli assetti organizzativi, nei controlli e nelle procedure, è stato consegnato alla Banca il 5 maggio scorso”.
Il rilievo del Tribunale di primo grado in cui si asserisce che Banca d’Italia ha esaminato tutte le segnalazioni sospette ai sensi della legge n. 197/1991, prima, e del d.lgs. n. 231/2007, poi, <…> trasme alla Guardia di Finanza e alla DIA, è errato e fondato su una distorta interpretazione della legislazione vigente operando una sovrapposizione fra Banca d’Italia e Ufficio italiani, quasi come se fossero un unico soggetto.
Scorrendo anche rapidamente gli articoli della legge 5 luglio 1991, n. 197 è agevole avvedersi di come nelle intenzioni del legislatore – tanto di quello originario quanto di quello che ha posto mano alle successive modifiche – la lotta al riciclaggio sia il frutto dell’azione convergente di diversi soggetti, sia pubblici (autorità giudiziaria, forze di polizia, autorità creditizie) che privati (le stesse banche e gli intermediari finanziari).
2.1 L’Ufficio Italiano Cambi e la Banca d’Italia, personalità giuridiche autonome.
E’ privo di fondamento qualsiasi tentativo di ricostruire la posizione della Banca d’Italia come soggetto che avrebbe agito per il tramite della longa manus dell’Ufficio, legato ad essa da tale nesso di strumentalità.
Sintomatico è il dato testuale dell’art. 2 , comma 1°, del d.lgs. n. 319/1998, nel quale la qualifica di “ente strumentale” attribuito all’UIC è esplicitamente e rigorosamente connesso soltanto ai “compiti attuativi della gestione delle riserve ufficiali in valuta estera”, mentre per quanto attiene alle funzioni antiriciclaggio il comma successivo – significativa al riguardo l’articolazione delle funzioni dell’Ufficio separata in tre commi distinti – non solo non menziona né richiama il nesso di strumentalità che lega i due enti, ma anzi poneva l’azione dell’Ufficio, “sotto l’alta vigilanza”, si noti, non della Banca d’Italia, bensì del Ministro del tesoro. Sotto questo profilo trova vera e più profonda giustificazione (ma, potremmo aggiungere, anche i suoi limiti) nell’unitarietà del fenomeno monetario, stanti le naturali connessioni tra la gestione delle riserve valutarie e i più generali obiettivi di politica monetaria, nel mentre il dato formale dell’affidamento al Governatore della presidenza dell’Ufficio e più in generale delle regole di composizione del Consiglio che lo regge costituisce a meglio considerare una conseguente mera attestazione di tale legame, che non può essere assurta al rango di dato fondante la strumentalità stessa.
Coerentemente con tali conclusioni, non devono trarre in inganno al riguardo le attribuzioni lato sensu “di vigilanza” riconosciute all’UIC dagli artt. 106 ss. T.u.b., sia perché più che di veri e propri compiti di vigilanza si trattava in realtà di più modeste funzioni di raccolta anagrafica di dati informativi sugli intermediari finanziari sia perché, se si vuole, la già richiamata disposizione del d.lgs. n. 319/1998 che fissava l’attribuzione all’Ufficio “a titolo principale e diretto” dei compiti in funzione antiriciclaggio (art. 5, comma 2°) doveva essere interpretata, oltre che naturalmente e principalmente in termini di indipendenza dal Ministro del Tesoro, anche come un’indiretta conferma dell’autonomia dei poteri di vigilanza dell’Ufficio ivi citati da quelli assegnati alla Banca d’Italia.
Nelle motivazioni della sentenza di primo grado, invece, si legge, nella parte III, dedicata all’“Analisi delle prove”, capitolo IV dedicato ai “I responsabili civili”, paragrafo 3) rubricato Banca d’Italia, pagina 635, cpv. 2°: “Nel corso della istruttoria dibattimentale, è emerso, invero, che la Banca d’Italia ha posto in essere condotte esigibili dall’autorità di vigilanza. In particolare, non è stata provata la sussistenza della condotta contestata alla Banca d’Italia, ovvero l’omessa, negligente o tardiva attività di vigilanza” oltreché sulle società comunque riconducibili a Lande anche sulla CARISPAQ s.p.a. presso cui erano accesi i conti correnti intestati alla E.I.M. INC. sui quali confluivano le ingenti somme raccolte dai numerosissimi clienti, somme gestite e reinvestite all’estero dal Lande mediante altri comparti societari…” <…>, per poi a pagina 636 affermare, 1°cpv., “Peraltro anche il teste Meoli, in sede di escussione, ha confermato l’avvenuta ricezione della segnalazione del 2005 laddove ha dichiarato che era stato delegato per gli approfondimenti il Nucleo PT di Roma (cfr. pagg. 32 segg. e delle trascrizioni del verbale di udienza del 16 gennaio 2012) e che nessun accertamento risultava essere stato esperito (cfr. pag 44 delle trascrizioni del medesimo verbale di udienza). Risulta, dunque, che prima della data del 25 gennaio 2007, quando la condotta della Banca d’Italia rilevava anche per “colpa lieve”, la medesima Banca d’Italia ha agito dando atto dell’operato UIC, investendo anche le ulteriori autorità competenti”.
2.2 La responsabilità della Banca d’Italia per violazione dell’art. 166 comma 3° del Testo Unico della Finanza .
In sede di Appello innanzi alla Prima sezione della Corte, il sottoscritto avv. Mobrici ha depositato memoria integrativa ai motivi di appello evidenziava sì che l’U.I.C. aveva informato la D.I.A. ed il Nucleo speciale della Polizia Valutaria, ma che nulla era stato posto in essere dalla Banca d’Italia e comunque non era la normativa antiriciclaggio quella che imponeva un obbligo di vigilanza in capo all’Autorità di Palazzo Koch, bensì l’art. 166 comma 3 del TUF.
Più specificatamente, la norma che imponeva l’obbligo di vigilanza in capo alla Banca d’Italia non doveva essere ricercata nella legge 197/1991 e più in generale nella materia attinente all’antiriciclaggio, ma in quella del reato di cui capo di imputazione l’art. 166 TUF, più specificatamente quella delineata del comma 3° che impone, alla Banca d’Italia e alla CONSOB, quando vi sia “fondato sospetto” che “una società svolga servizi o attività di investimento” senza esservi abilitata, di denunciare i fatti al pubblico ministero, ovvero di rivolgersi direttamente al tribunale per l’adozione dei provvedimenti previsti dall’art. 2409 c.c..
Anche in caso di denuncia dell’organo dell’accusa, lo scopo non è, dunque, di attivare un procedimento penale, ma di promuovere l’avvio di una procedura che, ove si accerti la sussistenza delle irregolarità denunciate, potrà portare all’adozione di opportuni provvedimenti cautelari e, e nei casi più gravi, alla revoca degli amministratori e dei sindaci della società interessata, con la nomina di un amministratore giudiziario. Si opera, in tal modo, un proficuo collegamento sinergico tra sanzione penale e rimedi civilistici, che rafforza la tutela del mercato e degli investitori.
L’intervento degli organi giudiziari si rende, d’altro canto, necessario in quanto la società che svolge abusivamente le attività riservate, non risultando per lo più sottoposta alla vigilanza delle predette Autorità e pertanto non sarebbe tenuta a sottostare ad accertamenti ispettivi da esse eventualmente disposti, come nel caso de quo, la E.I.M. Inc..
Nel richiamare l’art. 2409 c.c. l’art.166 comma 3 TUF ne amplia la portata sotto un triplice profilo: in primo luogo, inquadrando ex lege nel concetto di “gravi irregolarità nella gestione sociale” anche l’esercizio non autorizzato di talune attività di intermediazione finanziaria; in secondo luogo, attribuendo a soggetti diversi dai soci e dall’organo di controllo interno, quali la Banca d’Italia e la CONSOB, il potere di promuovere l’avvio della procedura; in terzo luogo, prevedendo a carico di dette Autorità un obbligo, e non già una semplice facoltà, di attivarsi in tal senso.
Quanto al primo degli aspetti evidenziati, si deve osservare che la disposizione non si riferisce a tutte le ipotesi di abusivismo contemplate, ma unicamente quelle inerenti ai servizi e alle attività di investimento, in pratica alle fattispecie punite dalla lett. a) 1° comma.
La clausola “fondato sospetto” ripete quella presente nel richiamato art. 2409 c.c.. onde vale, in rapporto ad essa, l’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale relativa alla disposizione del Codice civile.
E’ palese che si tratti di un quid minus rispetto all’accertamento dell’esistenza del reato: basta un quadro di gravità indiziario riguardo all’esercizio abusivo dell’attività, senza che occorra che sia stata acquisita dalle Autorità di vigilanza la relativa prova.
Nel caso de quo, vi era ben di più, la relazione dell’UIC a descrivere una situazione di fumus di abusivismo finanziario.
Altrettanto evidente è che solo il “fondato sospetto” non sarà sufficiente affinché il Tribunale adotti i provvedimenti indicati nell’art. 2409 c.c. occorrendo a tal fine l’effettivo accertamento dell’abusivismo.
Rispetto alla formulazione originaria della norma dell’art 166 TUF, che prevedeva la sola possibilità di denuncia al pubblico ministero, la disposizione attuale, quale risultante a seguito della modifica operata dall’art. 9.91, d.lg 17.1.2003 n.6 (aggiunto dall’art. 3, d.lg.6.2.2004 n.37), consente alla Banca d’Italia e alla CONSOB di “scavalcare” l’organo della pubblica accusa, interloquendo direttamente con il Tribunale.
Nel caso di denuncia al pubblico ministero, al di là dell’apparente ambiguità della dizione della norma in esame, è indubbio che il potere di adozione dei provvedimenti previsti dall’art. 2409 c.c. spetti comunque al Tribunale su istanza dello stesso organo dell’accusa e non già autonomamente a quest’ultimo.
La Banca d’Italia alla luce di tutto quanto sopra esposto non si è attivata in alcun modo una volta presa conoscenza del contenuto dell’ispezione dell’UIC nella quale si faceva esplicito riferimento ad una situazione di fumus di abusivismo finanziario in ordine al conto corrente intestato alla EIM, violando la disposizione dettata dall’art. 166 comma 3 del Tuf e dell’art. 132 bis del Tub.
Errava ad avviso dell’avv. Edoardo Mobrici, pertanto, il Tribunale quando a pagina 637 scriveva: “Da quanto illustrato e risultante dall’istruttoria dibattimentale, la Banca d’Italia ha assolto a tutti gli obblighi impostile dalla legge per l’esercizio delle sue funzioni di vigilanza. Con riguardo a CARISPAQ: ha svolto ispezioni, notoriamente mezzo straordinario di verifica, come chiarito da Romito (cfr. pg 88 fonoregistrazione del 23.3.2012); ha esaminato tutte le segnalazioni delle operazioni sospette inviate dalla banca ai sensi della legge n.197/1991, prima, e del d. lgs. N.231/2007, poi, e le ha trasmesse alla Guardia di finanza e alla DIA, indicando già nel 2004 il fumus di abusivismo finanziario ha tempestivamente informato l’autorità inquirente dei fatti di rilevanza penale. Con riguardo alle società riconducibili al Lande, ha esercitato tutti i poteri, invero limitati, attribuitile dalla legge con riguardo alla EGP, non rientrando gli altri soggetti, in quanto abusivi, tra le società sulle quali potesse esercitare alcun potere”.
3. Responsabilità civile della CONSOB per omessa vigilanza ispettiva con riferimento alla succursale EGP avente sede in Roma in via di Villa Grazioli e per omessa vigilanza informativa nei confronti della Guardia di Finanza e dell’Autorità Giudiziaria?
Nelle motivazioni della sentenza di primo grado a pagina 645 ultimo capoverso si legge: “Risulta, dunque, che la CONSOB abbia posto in essere tutte quelle attività previste dalla normativa vigente. Per completezza, invero, il teste SPADA ha evidenziato anche motivazioni convincenti in relazione ad apparenti discrasie sul potere di richiedere l’attività di cooperazione (di cui alle lettere di aprile 2010 e novembre 2010), nonché al tempo occorso tra la data dell’esposto e la trasmissione alla Procura”.
Così non è, ha sostenuto la difesa delle parti civili, avv. Edoardo Mobrici, che ha rappresentato quanto segue nella discussione del 3 dicembre 2013.
Il procedimento penale nasce a seguito, non dell’attività delle Autorità di Vigilanza, ma a seguito di un esposto presentato dalla Signora Paola Vivian alla Guardia di Finanza in data 9 ottobre 2009. In relazione a questo sono stati svolti i primi accertamenti, effettuati essenzialmente attraverso la consultazione delle banche dati di tutto il Corpo e di fonti aperte; questo ha fatto maturare, sin dal principio, la convinzione della sussistenza di ipotesi di reato connesse ai fatti indicati dalla Sig.ra Vivian.
In data antecedente, il 17 luglio 2009 un esposto anonimo, invece, veniva recapitato a mezzo posta alla Consob, in esso vi erano contenuti gli estremi per identificare le persone coinvolte nelle operazioni di abusivismo finanziario quali: Lande Gianfranco, Castellacci, l’indicazione delle società tra cui la Européen de Gestion Privé (EGP) descritta come ufficiale, ma che a dire dell’anonimo “sembra” e così poi è risultato essere, “servire da copertura per l’attività di una non ben definita EIM, e Euro Asian o Agahrti o Dharma che sollecita il pubblico”; vi era nell’esposto, altresì, una descrizione delle operazione ed i mercati di esecuzione (obbligazioni Dharma con una cedola del 6,75%, Blue Water Fund…), l’esposizione dei dubbi su quale società venissero versati i soldi dell’investitore e degli altri clienti, e dei motivi per cui si sospettava che le operazioni potessero costituire abusi di mercato (“Se ho capito bene esistono due società che fanno capo allo stesso titolare, una di recente costituzione, Européen de Gestion Privé (EGP) che è ufficiale e che sembra però da servire da copertura per l’attività di una non ben definita EIM, e Euro Asian o Agahrti o Dharma che sollecitano il pubblico tramite Castellacci ed altri in Italia, per operare sull’estero… Svizzera, Bermude… è tutto poco chiaro”).
Il Nucleo speciale della Polizia valutaria non ha mai ricevuto nel 2009 dalla CONSOB (a cui era pervenuto l’esposto anonimo nel luglio del 2009) alcuna informazione o richiesta di informazioni in merito alle società riconducibili a Gianfranco Lande; solo nel marzo del 2010 a seguito dell’iniziativa della stessa Guardia di Finanza vi sono stati contatti telefonici con i rappresentanti della CONSOB ai quali era stato fatto presente dell’esistenza dell’indagine penale in corso. In quella circostanza non fu detto nulla dall’Autorità di vigilanza in merito all’esposto anonimo, pur avendo contezza dell’oggetto dell’indagine in corso, ma venne informato il Nucleo speciale della Polizia Valutaria solo più tardi con la richiesta della documentazione nell’aprile del 2010. Analogamente, della riunione svoltasi il 27 maggio 2010 a Milano – tra i responsabili della vigilanza della CONSOB e l’amministratore EGP della succursale in Italia, Andrea Raspi (coimputato di Lande ed anche egli condannato a seguito sentenza di patteggiamento) – convocata al fine di acquisire informazioni oltre che sui necessari adattamenti operativi e di controllo a fronte dell’aumento delle masse in “gestione” o “amministrate”, anche in merito all’operatività della clientela su strumenti finanziari emessi dalla controllante DHARMA Holdings s.a.
Nella riunione del 27 maggio, i rappresentanti di EGP confermarono quanto scritto nella nota del 1 aprile 2010 nella quale si evidenziava che l’aumento esponenziale della clientela, da poco meno di 40 a oltre 730 nuove posizioni, in occasione dello scudo fiscale ter, per una massa di 220 milioni di euro, derivava dalle attività prestata da Européen De Gestion Suisse, EGP Suisse, società appartenente al medesimo gruppo di EGP e localizzata nella confederazione elvetica, e solo in via residuale dalla stessa clientela di EGP.
In realtà, i clienti provenivano dalla EIM Inc, società non autorizzata, e non di EGP Suisse. La società European Investment Manangment, EIM, società non iscritta così come risultato anche dalla consultazione effettuata dalla Guardia di finanza presso FSA, Financial Services Autority, per cui EIM non era autorizzata ad operare neanche nel Regno Unito.
La CONSOB viene interpellata dal Nucleo Speciale della polizia Valutaria il 16 marzo 2010 al fine di sollecitare, per il tramite della stessa autorità di vigilanza italiana, le Autorità estere di vigilanza per acquisire informazioni utili alle indagini allora in corso sulle società riconducibili alla Holdings di Lande.
La CONSOB negava il consenso, in data 16 aprile 2010, così motivando: “con riferimento alla richiesta formulata da codesto comando di valutare la possibilità di interessare le competenze e autorità degli Stati ivi citati ai fini di acquisire notizie utili alle indagini in corso si fa presente che le direttive europee e di accordi internazionali in essere consentono all’istituto di attivare l’attività di collaborazione internazionale soltanto per i fini di vigilanza di propria competenza e segnatamente per assicurare il rispetto della normativa nazionale in materia”. Una seconda richiesta di contenuto analogo della Guardia di Finanza diretta alla CONSOB perviene nell’ottobre del 2010 a cui segue questa volta un assenso in data 2 novembre 2010, quando la vicenda, era di dominio pubblico. Dalla lettura degli atti si legge quanto segue: “si fa presente infine che diversamente rispetto a quanto comunicato con la precedente lettera protocollo 1010033779 del 16 aprile 2010 l’attivazione dell’attività di cooperazione internazionale è stata ora richiesta in quanto utile ai fini di vigilanza e di competenza della Consob”.
In data 16 marzo 2010, il Nucleo Speciale di Polizia Valutaria ha chiesto informazioni sull’attività di promotore finanziario svolta da Roberto TORREGIANI, coimputato di Lande, nonché di informazioni degli intermediari per conto dei quali risultava costui svolgere o aver svolto attività. La CONSOB anche in questa circostanza non fornisce alcuna informazione in quanto fa riferimento ad un tale TORRIGIANI anziché TORREGIANI sostituendo una lettera “E” con una lettera “I”.
3.1 I poteri ingiuntivi in capo alla CONSOB, art. 52 Tuf.
Quello sopra esposto è il quadro fattuale all’interno del quale la CONSOB avrebbe potuto esercitare poteri coercitivi, ha sotenuto l’avv. Mobrici.
Analogamente a quanto previsto dall’art. 51, comma 1 TUF, il 1° comma dell’art. 52 TUF attribuisce a Banca d’Italia e CONSOB, nell’ambito delle rispettive competenze, il potere di emanare provvedimenti ingiuntivi nei confronti di imprese di investimento comunitarie con succursale in Italia, finalizzate ad interrompere i comportamenti irregolari posti in essere da tali soggetti.
Elemento caratterizzante la norma in commento rispetto a quella dettata dal 1° comma dell’art. 51 TUF è l’obbligo dell’autorità che intenda adottare il provvedimento di informare l’autorità di vigilanza dello Stato membro cui ha sede l’intermediario comunitario.
Pur non essendo precisato se la comunicazione possa essere inviata anche successivamente all’adozione del provvedimento, tale soluzione sembra potersi dedurre dall’art. 62 comma 2 e 3 cpv MiFID, che, nel disciplinare i provvedimenti ingiuntivi che possono essere assunti dall’Autorità di vigilanza nazionale nei confronti degli intermediari che operano in regime di libera prestazione di servizi, limita l’obbligo di comunicazione preventiva alle misure più gravi.
Nulla quaestio in ordine alle modalità di esecuzione della comunicazione all’autorità straniera della decisione di adottare il provvedimento, si deve far riferimento agli accordi di collaborazione che, ai sensi dell’art. 4, comma 2bis del TUF, Banca d’Italia e CONSOB possono concludere con le autorità di vigilanza dei singoli Stati comunitari.
Va anche segnalato che, per effetto delle modifiche introdotte al TUF a seguito del recepimento della Direttiva 2009/65/CE, i provvedimenti ingiuntivi disciplinati dall’art. 52 comma 1 del TUF, possono essere adottati dalle autorità di vigilanza e non solo, come accade per i provvedimenti disciplinati dall’art. 51 del TUF, a seguito di violazione di disposizioni dettate dal TUF e dai regolamenti attuativi, ma anche per l’effetto di violazioni di norme appartenenti ad altre branche dell’ordinamento italiano .
Analogamente a quanto previsto dall’art. 51, comma 2 del TUF, l’art. 52 comma 2 attribuisce a Banca d’Italia e CONSOB il potere di adottare, nell’ambito delle rispettive competenze e previo consulto con l’altra autorità, provvedimenti ingiuntivi di contenuto più incisivo rispetto a quelli disciplinati dal 1° comma, laddove le irregolarità riscontrate siano contraddistinte da maggior gravità.
L’autorità procedente può, infatti, assumere tutti i “provvedimenti necessari” tra cui sono espressamente ricompresi “l’imposizione del divieto di intraprendere nuove operazioni” e “ogni altra limitazione riguardante singole tipologie di operazioni, singoli servizi o attività anche limitatamente a singole succursali o dipendenze dell’intermediario” nonché, nei casi più gravi, l’ordine di chiusura della succursale.
Provvedimento quest’ultimo, che, tenendo conto di quanto previsto dall’art. 62 comma 2, 3° cpv MiFID, che assegna al Paese ospitante il potere di adottare le misure appropriate per impedire all’impresa di investimento di “avviare ulteriori operazioni nel suo territorio”, non può mai arrivare a vietare del tutto l’attività dell’intermediario nel territorio della Repubblica.
Il 2° comma dell’art. 52 TUF indica i presupposti per l’adozione dei provvedimenti e cioè:
a) la mancanza o l’inadeguatezza dei provvedimenti dell’autorità competente dello Stato in cui l’intermediario ha sede legale;
b) l’accertamento di violazioni delle norme di comportamento;
c) la sussistenza di un potenziale pregiudizio per interessi di carattere generale;
d) l’urgenza per intervenire per la tutela di interessi degli investitori.
Così come rilevato con riguardo ai provvedimenti disciplinati dall’art. 51 comma 2 del TUF, si deve ritenere che l’adozione dei provvedimenti in esame richieda la presenza contemporanea di tutti i presupposti citati dalla disposizione .
Ragionando altrimenti, infatti, si giungerebbe all’inammissibile conclusione che detti provvedimenti possano essere irrogati anche in assenza di comportamenti irregolari, ove si verifichi una situazione che metta in pericolo la tutela degli investitori. Soluzione che verrebbe a sollevare dubbi di legittimità costituzionale della disposizione con riferimento agli artt. 3 e 41 Cost.
Il requisito indicato dalle lett. a) assegna all’autorità di vigilanza italiana il compito di valutare l’adeguatezza del provvedimento adottato dall’Autorità di vigilanza del Paese di origine (ad es. il commissariamento dell’impresa di investimento) ad assolvere alle esigenze di tutela avvertite in Italia .
Con riguardo invece al requisito di cui alla lett. b), dalle ripartizioni di competenza di vigilanza tra Paese ospitante e Paese d’origine delineata dall’art. 32 comma 7 MiFID, discende che la violazione riscontrata da Banca d’Italia e CONSOB non può che riguardare le norme comportamentali dettate a carico degli intermediari dalla normativa comunitaria .
Violazioni che, per giustificare l’adozione di un provvedimento di siffatta intensità, devono essere potenzialmente lesive di interessi di carattere generale, intendendosi per tali quelli indicati dall’art. 5, comma 1 del TUF.
Dal presupposto menzionato dalla lettera d), poi si deduce la natura cautelare dei provvedimenti in esame. Con conseguenza che deve ritenersi giustificato il mancato rispetto della garanzia della comunicazione dell’avvio del procedimento di cui all’art. 7, l.7.8.1990 n.241, altrimenti applicabile, secondo quanto previsto dall’art. 24, l. n.262/2005, ai procedimenti di Banca d’Italia e CONSOB volti all’emanazione di provvedimenti individuali. Ai sensi dell’art. 52 comma 3 del TUF i provvedimenti in esame sono comunicati dall’autorità che li ha adottati all’autorità competente dello Stato comunitario in cui l’intermediario ha sede legale. Il TUF non indica modalità e tempi della comunicazione. Va peraltro osservato che l’art. 62 comma 2, 3° cpv MiFID, prescrive che la comunicazione debba precedere le misure più gravi. E va anche aggiunto che l’art. 52 del TUF non fa menzione dell’obbligo sancito dal medesimo 2° comma 3° cpv. del citato art.62 di comunicare le misure adottate “alla Commissione senza ritardo”.
E’ invece prescritto l’obbligo di acquisire il preventivo parere dell’altra autorità. Parere che, analogamente a quanto previsto per il parere rilasciato per l’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 51, comma , non è vincolante e deve essere rilasciato in tempi brevi e attraverso procedure snelle .
La CONSOB, dal Settembre del 2009 era a conoscenza delle sanzioni inflitte alla EGP francese, tanto è vero che riguardo agli accertamenti ispettivi dell’Autorità di controllo francese e della CONSOB, a pagina 335 della sentenza di primo grado si legge che il. Prof. Brancadoro, Commissario liquidatore della EGP succursale italiana, ha osservato quanto segue: “Per tali motivi, in data 23 ottobre 2008 l’AMF comminava ad EGP s.a. una sanzione amministrativa, per l’ammontare di euro 100.000,00 somma decisamente rilevante . Successivamente veniva ispezionata anche la società controllata EGP Fonds et Gestion nei confronti della quale veniva rilevata una struttura organizzativa inadeguata e gravi carenze nelle procedure antiriciclaggio. Il provvedimento sanzionatorio evidenziava la forte esposizione dei clienti verso fondi off-shore. In data 15 gennaio 2009 EGP Fonds et Gestion veniva sanzionatadall’AMF con una multa di euro 50.000. Non risulta che l’AMF abbia effettuato verifiche e riscontri sulle reali consistenze dei depositi né risulta che successivamente sia stata accertata la effettiva rimozione delle carenze rilevata”.
Una volta venuta a conoscenza la CONSOB del numero più che decuplicato dei clienti investitori della succursale di EGP, l’autorità italiana, a cui era pervenuto l’esposto anonimo, non si è attivata in alcun modo in termini di collaborazione con l’autorità francese, né ha esercitato i poteri che le competevano, che costituivano non mere facoltà.
Non solo dalla stessa analisi del rapporto dell’AMF si ricava come la Divisione della CONSOB fosse consapevole che l’attività della EGP fosse in via esclusiva esercitata sul territorio italiano, come documentalmente prodotto dal P.M. e dallo scrivente difensore.
Nella sentenza di primo grado a pagina 344 si legge, senza che il Tribunale sia pervenuto ad una conclusione atta ad accertare la responsabilità delle Autorità di vigilanza, quanto segue: “In sostanza la EGP, società controllata indirettamente da Dharma, mediante la succursale italiana ha svolto attività di intermediazione in Italia a favore di clientela italiana collocando prevalentemente obbligazioni Dharma. L’uso strumentale della succursale italiana ha costituito un elemento di forte radicalizzazione sul territorio nazionale e sia l’emittente (Dharma) sia l’intermediario (EGP) hanno quindi scelto l’Italia come mercato di riferimento.
In conclusione, dal punto di vista di Dharma, l’aver stabilito la sede sociale in Lussemburgo costituisce un escamotage per dissimulare un’attività imprenditoriale svolta essenzialmente in Italia, nei confronti (e in danno) di clientela italiana”.
3.2 Vigilanza ispettiva ex art. 10 TUF.
In sede di appello l’avv. Mobrici ha rimarcato come in primo grado il Tribunale abbia prestato attenzione unicamente alla vigilanza ispettiva ???????????– riscontrabile dalla lettura della sentenza – non considerando che nell’alveo dell’attività di vigilanza rientrano quella regolamentare, informativa e ispettiva; tale tripartizione ha tradizionalmente contribuito a segnare un’ideale linea di demarcazione tra le diverse modalità di esercizio della vigilanza finanziaria e bancaria, in realtà sono forme di controllo l’una funzionale all’altra.
L’art. 10 operando un’utile razionalizzazione unificatrice, ha, dunque, contribuito a mettere ordine nel rilevante “filone” della vigilanza ispettiva, fino ad allora disciplinato in modo non pienamente coordinato.
L’ambito applicativo dei poteri ispettivi si estende ora fino a ricomprendere tutti i “soggetti abilitati” di cui all’art. 1 comma 1 lett. r), TUF.
Sono tali, per quanto riguarda il caso de quo:
i. le SIM;
ii. le imprese di investimento aventi sede legale e direzione generale in uno stesso Stato comunitario diverso dall’Italia, che prestino servizi di investimento in Italia per il tramite di succursali ivi ubicate ovvero svolgano l’attività di offerta fuori sede in Italia, senza stabilimento di succursali;
iii. le imprese di investimento aventi sede legale in uno Stato extracomunitario, che prestino servizi di investimento in Italia con o senza stabilimento di succursali ivi ubicate;
iv. …
Sul piano contenutistico, l’attività in cui si sostanzia la vigilanza ispettiva consiste, anzitutto, nel potere delle Autortà, ciascuna nell’ambito delle proprie competenze, di inviare propri funzionari presso i soggetti abilitati, affinché effettuino accertamenti amministrativi in loco, rivolti ad appurare se l’attività svolta dal soggetto vigilato appaia conforme ai criteri di cui all’art. 5 comma 2 del TUF, rappresentati, come noto, dal contenimento del rischio, dalla stabilità patrimoniale e dalla sana e prudente gestione(per quanto di competenza della Banca d’Italia), nonché dalla trasparenza e correttezza dei comportamenti (per quanto di interesse della CONSOB).
L’attribuzione dei poteri di vigilanza ispettiva, così come quelli di vigilanza informativa, è attuata dalla norma ricorrendo al verbo “possono”. Si tratta ben vedere di una formulazione meramente attributiva del potere ispettivo, che non vale a riconoscere alle Autorità una vera e propria facoltà in merito alla scelta se effettuare o meno ispezioni, né una discrezionalità più ampia di quella tecnica che connota naturalmente la loro attività.
Giurisprudenza e dottrina concordano sulla circostanza che la locuzione utilizzata esprima una potestà, cioè un potere, dovere riconosciuto alle Autorità in vista dell’assolvimento di un superiore interesse, identificabile, in ultima analisi, nella tutela del pubblico risparmio.
Si è al riguardo, evidenziato che la discrezionalità relativa al quomodo della vigilanza non può mai estendersi anche alla scelta radicale tra l’attivarsi o meno, soprattutto qualora sussistano gravi indizi di irregolarità.
Quanto all’uso del verbo “effettuare”, il legislatore del TUF avrebbe inteso, in tal modo escludere la delegabilità dei poteri ispettivi a favore di soggetti terzi: la circostanza, infatti, che il plesso normativo previgente conferisse alle due Autorità il potere di “disporre” le ispezioni ha indotto la dottrina, formatasi, per lo più, in relazione all’art. 54 TUB ed all’abrogato art. 29 decreto EUROSIM, a ritenere che la CONSOB e la Banca d’Italia debbano necessariamente procedere in via diretta alle ispezioni, senza poter conferire alcuna delega in proposito.
Accanto a una potestà regolamentare “esterna”,esercitabile dalle due Autorità in posizione di totale neutralità, indipendenza e autonomia, si tende a configurare separatamente una forma di controllo “a distanza” (o off-site) basata sulla sistematica raccolta di fonti documentali e informazioni statistiche e una modalità di supervisione esercitata con l’accesso on-site, presso le strutture degli intermediari, di team ispettivi all’uopo incaricati.
E’ stata, tuttavia, correttamente osservato che tale distinzione può essere utilizzata unicamente per comodità espositiva, ma non risulta pienamente corrispondente alla realtà del concreto esercizio dell’attività di supervisione, che, per loro vocazione, si collocano in un rapporto di integrazione dinamica e di reciproca influenza.
I tre “filoni” generali in cui si articola la vigilanza costituiscono strumenti complementari di acquisizione del complesso delle conoscenze essenziali all’efficiente perseguimento degli obiettivi istituzionali delle due Autorità. Si tratta, in ultima analisi, di forme di controllo l’una funzionale all’altra.
Sussiste, anzitutto, una forte interrelazione tra l’analisi ispettiva e l’analisi a “distanza”. Da un lato, infatti, i dati acquisiti nell’ambito della vigilanza documentale vengono utilizzati per individuare i soggetti e le aree della gestione da verificare in sede di controllo in loco ; dall’altro lato, gli accertamenti ispettivi attraverso l’accesso diretto alla contabilità e all’intera documentazione aziendale, integrano il set di controllo off site, consentono di verificare la qualità, la completezza e l’affidabilità e fanno emergere eventuali aspetti di debolezza o di problematicità.
L’attività ispettiva presenta un grado di incisività superiore rispetto ai controlli cartolari, in quanto i flussi informativi acquisiti off-site dalla Banca d’Italia e dalla CONSOB sono necessariamente mediati e filtrati dagli organi amministrativi e di controllo dei soggetti abilitati e la relativa utilità dipende, quindi, dalla serietà, correttezza e lealtà di tali organi nell’adempimento dei doveri informativi. L’attività ispettiva consente, invece, di abbattere il diaframma che inevitabilmente s’interpone tra soggetti vigilati e Autorità di vigilanza, le quali, pertanto, sono poste in condizioni di ottenere una percezione diretta e immediata della struttura organizzativa e dell’operatività dei soggetti vigilati e di riscontrare direttamente eventuali anomalie potenzialmente capaci di pregiudicare la trasparenza e la correttezza dei comportamenti e la sana e prudente gestione degli intermediari.
Entrambe le forme di supervisione presentano inevitabili limiti conoscitivi, in quanto la completezza delle informazioni deriva dall’esame della complessiva gestione, che né l’una, né l’altra tipologia di analisi, singulatim, possono fornire.
3.3 Vigilanza informativa.
La vigilanza informativa come sopra anticipato è argomento che non risulta essere preso in considerazione nelle motivazioni della sentenza di primo grado. Nel caso de quo occorre far riferimento, invece all’art. 8 TUF, al protocollo di Intesa stipulato tra la Banca d’Italia e la CONSOB, nonché al protocollo firmato nel 2006 dalla stessa CONSOB e dalla Guardia di Finanza.
I primi due commi dell’art.8 del TUF delimitano i poteri di vigilanza informativa esercitabili dalla Banca d’Italia e dalla CONSOB, precisando che tali Autorità, nell’ambito delle rispettive competenze con modalità e nei termini da esse stesse stabiliti, possono chiedere ai soggetti abilitati e ai soggetti incaricati della revisione legale dei conti la comunicazione di dati e notizie e la trasmissione di atti e documenti.
Il 1° comma, modellato sull’art. 51 TUB, a sua volta erede dall’art. 31, 1° comma, legge bancaria del 1936???????????–38, ricalca l’abrogato art.27, comma 1, d. lg. n.415/1996, di recepimento delle Direttive n.93/22/CEE e 93/6/CEE (c.d. decreto Eurosim), il quale disciplinava unitariamente i poteri informativi delle Autorità di vigilanza nei confronti delle banche e delle SIM.
Alla stregua del punto 3, invece, del Protocollo di Intesa stipulato ai sensi dell’art.5 comma 5bis del TUF, tra Banca d’Italia e CONSOB il 31.10.2007, le due Autorità devono operare in modo coordinato, scambiandosi, per quanto di reciproco interesse, le informazioni rilevanti.
Al punto 6.1 è stabilito che Banca d’Italia e la CONSOB sono tenute a scambiarsi le informazioni acquisite nell’ambito dei controlli di rispettiva competenza, qualora lo stesso presentino aspetti di rilevanza per lo svolgimento delle funzioni di vigilanza da parte dell’altra Autorità.
Da ultimo si stabilisce, in via generale, che la Banca d’Italia e la CONSOB si scambino informazioni, anche in occasione di incontri periodici, in merito alle iniziative di vigilanza rilevanti o di portata generale con riferimento alle prestazioni di servizi di investimento .
Le Autorità sono, infine, tenute a darsi reciproca comunicazione, in modo tempestivo, dei singoli atti e provvedimenti assunti nei confronti degli intermediari, nonché delle irregolarità rilevanti accertate nell’esercizio dell’attività di vigilanza, relativamente alla prestazione di servizi di investimento.
Con riferimento, invece, al Protocollo di intesa CONSOB ???????????– Guardia di Finanza del 18.5.2006 nonché al Protocollo di intesa Banca d’Italia e la Guardia di Finanza in data 26.7.2007 si espone quanto segue:
preliminarmente, occorre considerare che l’attività di vigilanza svolta dalla CONSOB e dalla Banca d’Italia è parte del sistema di regolamentazione e di controllo sul comparto finanziario predisposto dall’ordinamento, che implica rapporti istituzionali, oltreché con strutture governative e con l’Autorità Giudiziaria anche con altri enti e istituzioni nazionali, tra i quali il Corpo della Guardia di Finanza.
Con specifico riferimento ai rapporti di collaborazione con la Guardia di Finanza, è necessario ricordare il Protocollo di intesa tra la Guardia di Finanza e la CONSOB siglato in data 18.5.2006 che disciplina le forme di reciproca collaborazione.
In base al Protocollo d’intesa la cooperazione è disciplinata nei seguenti termini:
i. le due istituzioni collaborano tra di loro, di regola su richiesta della stessa CONSOB, al fine di agevolare l’attività istituzionale dell’Autorità di vigilanza;
ii. la Guardia di Finanza collabora nell’acquisizione e nell’elaborazione di dati, notizie ed informazioni utili per gli accertamenti di competenza della CONSOB e sottopone a quest’ultima ogni elemento che ritenga rilevante ai fini dello svolgimento dell’attività dell’Autorità di vigilanza;
iii. su richiesta della CONSOB, la Guardia di Finanza presta collaborazione ai funzionari della CONSOB in sede di audizioni, ispezioni, sequestri, perquisizioni e, sempre su richiesta della CONSOB, procede direttamente all’esecuzione delle suddette attività; in tali casi la CONSOB fornirà ogni necessario supporto tecnico logistico per l’espletamento dell’incarico;
iv. la Guardia di Finanza segnala alla CONSOB ogni circostanziato e documentato elemento che abbia acquisito autonomamente allo svolgimento delle sue funzioni e che risulti rilevante ai fini dell’attività della CONSOB e della collaborazione con l’Autorità Giudiziaria ai sensi dell’art. 187decies TUF.
Sono inoltre previsti:
i. uno scambio di dati ed informazioni tra la CONSOB e il Nucleo Speciale di Polizia Valutaria della Guardia di Finanza;
ii. la definizione, attraverso contatti periodici e successive verifiche, delle linee strategiche della collaborazione tra la CONSOB E LA Guardia di Finanza;
iii. la possibilità per il personale della Guardia di Finanza di partecipare alle attività di formazione della CONSOB.
Analoghe previsioni sono contenute nel Protocollo di intesa siglato tra la Banca d’Italia e la Guardia di Finanza in data 26.7.2007.
Nelle motivazioni della sentenza di primo grado nella parte dedicata a quanto riferito in aula dal Capitano Meoli in forze alla Guardia di Finanza emerge un quadro univoco in cui la CONSOB, sostiene l’avv. Mobrici, non avrebbe fornito o quanto meno tardivamente avrebbe fornito informazioni utili alla Guardia di Finanza ed al compimento di un’attività ispettiva
Più specificatamente a pagina 186 si legge: “Riguardo agli esposti ricevuti dalla CONSOB, nel corso del 2010 ve ne furono oltre all’anonimo altri tredici e molti di questi, la maggior parte non erano anonimi ma firmati. A marzo 2010 abbiamo avuto contatti telefonici con i rappresentanti della CONSOB; io stesso parlai con l’ufficio legale, con persone che sostituivano l’avv. Di Lazzaro. Durante questi contatti telefonici ho fatto presente dell’esistenza di un’indagine penale; non mi fu detto dell’esposto anonimo, ma venimmo informati successivamente attraverso la documentazione che ci venne trasmessa. Nell’aprile 2010 con la risposta della CONSOB ci è anche arrivato in allegato l’esposto anonimo.
Quindi dal luglio 2009, data dell’esposto anonimo, ne abbiamo avuto notizia solo ad aprile 2010. Andrea Raspi era il rappresentante della Succursale EGP Italia, era comunque quello delegato ad avere rapporti con la Consob. Non mi risulta che prima della convocazione di Andrea Raspi la Consob abbia preso iniziative nei confronti di EIM o EGP”.
Ed ancora a pagina della sentenza 189: “Diciamo che nel complesso siamo stati più noi a fornire alla Consob elementi su quello che stava emergendo nel corso delle attività di indagine piuttosto che il contrario.
Nella riunione del 18 dicembre 2010 ricordo che facemmo vedere il future consumer agreement al dott. Spada. Lui in quella circostanza ci disse che sembrava che facesse riferimento a un’attività di brokeraggio, che consentiva poi la compravendita di strumenti finanziari derivati. E là concordammo la lettera che poi abbiamo inviato a novembre, cioè la richiesta sia dell’iscrizione della società che del future consumer agreement, per cui è arrivata poi la risposta delle Autorità inglese e irlandese su questi aspetti”.
A pagina 162: “A seguito degli esposti la CONSOB ha chiesto notizie ad EGP e ha convocato una riunione in cui è intervenuto Andrea Raspi. La riunione si è svolta il 27 maggio 2010 a Milano, vi erano presenti il dott. Andrea Raspi, Diego Messina e Paolo Lemma.
In relazione a quell’incontro vi è una nota del 30 agosto in cui si comunicava l’esito della riunione. Praticamente, secondo quanto riferito dai rappresentanti di EGP nel corso dell’incontro del 27 maggio 2010, la clientela del cosiddetto scudo fiscale ter sarebbe venuta principalmente dalla consorella EGP Suisse SA. Dunque, sostanzialmente si conferma in sede di riunione quello che era già stato comunicato da EGP con quella nota. Nel settembre 2010 ci fu un incontro tra noi della GdF e la CONSOB per il coordinamento delle attività da svolgere per vedere come magari inoltrare una nuova richiesta alla CONSOB, per avere notizie dalle Autorità estere visto la richiesta di rogatoria era stata appena inoltrata.
La finalità era quella di coordinarsi ed evitare che ognuno andasse per la sua strada in via autonoma visto che la CONSOB stava procedendo e aveva sentito ANDREA RASPI nel maggio 2010 senza riferirci niente. Ovviamente la CONSOB andava avanti per la sua strada, ciò però avrebbe potuto nuocere alle attività investigative che erano in corso e quindi l’esigenza pressante era quella di un coordinamento dei passi successivi da intraprendere. In quella sede abbiamo esposto anche quelli che erano gli elementi emersi nel corso delle investigazioni e quindi tali da far ritenere che la vicenda era abbastanza articolata.
Quindi abbiamo cercato di rappresentare la sussistenza di questi tre soggetti, due inglesi e uno irlandese che si scambiavano e creavano confusione, perché poi alla fine tutti operavano come un unico soggetto EIM”.
Ed infine, con riferimento al Capitano Meoli, a pagina 161 “L’attività della CONSOB prosegue in maniera autonoma rispetto a quelle che sono le nostre attività. Da una nota la CONSOB inoltra all’autorità giudiziaria, è un’informativa del 24 novembre 2010 e avente protocollo 10096813 con destinatario Procura della Repubblica di Roma, nel riepilogare quella che è l’attività svolta evidenzia che il 17 marzo, con protocollo numero 10023184, hanno chiesto alla EGP ulteriori notizie con riferimento allo scudo fiscale ter, perché emerge che la CONSOB quando aveva fatto la prima richiesta nel 2009 si trovava di fronte un soggetto che aveva una quarantina di clienti con una massa gestita infinitamente più bassa”.
Altra indicazione utile della supposta omessa vigilanza informativa della CONSOB emerge anche dalle dichiarazioni del Commissario Liquidatore Prof. Brancadoro, il quale riferisce, si legge a pagina 335 della sentenza che: “Nell’ambito della ispezione dell’Autorità francese vi è stato un breve accesso nell’agosto del 2010 press la filiale italiana della EGP. Infine nessuna comunicazione è stata data all’Autorità di controllo francese alla CONSOB e alla BANCA D’ITALIA, in qualità di Autorità di vigilanza del Paese ospitante della succursale dell’impresa francese”.
La discrasia evidenziata in sede di appello dall’avv. Mobrici appare evidente laddove nella sentenza di primo grado nella parte seconda della stessa dedicata all’ “analisi dell’istruttoria dibattimentale” pur risultando quanto sopra riportato in merito al difetto di collaborazione tra Guardia di Finanza e CONSOB imputabile alla seconda, nella parte terza della sentenza, invece, dedicata all’“analisi delle prove” sembra venir meno tutto quanto premesso e risulterà ad avviso del giudice a quo “dunque, che la CONSOB posto in essere tutte quelle attività previste dalla normativa vigente”.